martedì 21 luglio 2020

Cinque cose da sapere se pensi di voler fare il ghost-writer




Hai sentito parlare di questo intrigante mestiere e ti senti portato per farlo?
Ecco alcuni suggerimenti pratici per aiutarti a capire se fa davvero per te.


  1. Preparati a dire addio per sempre al Times New Roman, all'Arial, al Verdana. Se deciderai di diventare un ghost-writer dovrai avere un buon rapporto con il Courier New perché questo è solitamente il font che si usa per le cartelle editoriali e qualora ti commissionassero dei lavori corposi ti garantisco che anche i copioni dei tuoi sogni nella fase rem saranno scritti con questo carattere.
  2. Sarai come un paguro senza guscio. Chi sceglie un futuro da ghost-writer sceglie implicitamente di diventare contenuto senza contenitore perché il tuo lavoro consisterà nell'infilarti tutto intero nei contenitori altrui prendendo di volta in volta forme che non ti appartengono. È necessario che tu sia duttile e multicolore come il Didò nelle mani di un bambino perché dovrai cambiare tanti stili e argomenti che manco un camaleonte di quelli dotati...
  3. Lasciate ogni preferenza o voi che entrate. Ebbene sì, preparati a dover abbandonare fin da subito qualsiasi refolo di perfezionismo che ancora aleggia intorno alla tua persona perché più sarai soddisfatto di ciò che hai scritto, più soffrirai quando vedrai le correzioni apportate dal committente per rendere il testo "più nelle sue corde". A lenire le ferite inferte da ogni rimaneggiamento del testo avrai solo la certezza, messa nero su bianco a contratto, che nessuno saprà mai che quella roba è opera tua.
  4. Lo stai facendo per soldi. Questo è quello che ripeterai come un mantra tutte le volte che il tuo subconscio ti supplicherà di smettere di prostituirti alla pigrizia mentale di chi ti vuole un po' più Volo (Fabio) e un po' meno Murgia (Michela), che poi "Murgia chi?".
  5. Perché ricordatelo, chi sa scrivere scrive da sé, ma chi ha bisogno di un ghost-writer di norma non sa scrivere o non ha più voglia di farlo.
Detta così a uno passa la voglia di buttarsi in questo mondo di parole per procura, ma devo ammettere che è una sfida che si rinnova a ogni progetto e se all'inizio cerchi di scrivere qualcosa che ti soddisfi, dopo un po' cominci a trovare divertente anche scrivere per soddisfare gli altri e quando ci riesci non è più una questione di soldi, ma di bravura. A scrivere bene son buoni in tanti, ma a scrivere male volontariamente di cose che non ti appartengono in mille stili non tuoi... Bè, tanta roba.


giovedì 9 luglio 2020

Molto acuta, incredibilmente cretina



Ho appena terminato di leggere un libro banale e con orrore mi sono resa conto che avrei potuto tranquillamente scriverlo io.
Quel po' di onestà intellettuale che è sopravvissuta agli ultimi tre anni della mia vita non ha fatto che ripetermelo dalla prima all'ultima pagina: "È banale, ma tu non avresti scritto di meglio".
Com'è possibile essere in grado di scorgere tra le righe altrui la banalità e poi non saperla disinnescare nelle proprie?

Comunque un saluto a te che stai leggendo. Era da un po' che non tornavo a scrivere qua dentro. Mi dirai:

Che hai fatto in questi tre anni?

A parte imbarcarmi in una relazione tossica, cambiare casa, città e lavoro per salvarmi letteralmente la vita, ho fatto anche la ghostwriter.
Scrivere per gli altri calandomi nei loro stili e nelle loro storie è facile. Quando scrivo per gli altri non sono banale.
Ma scommetto che se dovessi mettermi a raccontare cos'ho vissuto, da quando ho dismesso questo blog ad oggi, lo diventerei all'ennesima potenza.
Chi mi conosce e sa cosa è capitato continua a dirmi che dovrei scriverci un libro e Dio solo sa quanto vorrei essere capace di farlo, ma probabilmente dovrei rivolgermi a una ghostwriter per riuscirci. Ora capisci il senso del titolo che ho voluto per questo post?
Non si può essere più cretini di così.
La storia c'è, massiccia, prorompente e succosa che se ce l'avesse per le mani una Ferrante ci farebbe su un'altra tetralogia da urlo. Se invece capitasse tra le mani della Murgia riuscirebbe a condensarla in 190 pagine di pura e indomita perfezione che ti ruberebbero gli occhi fino all'ultima sillaba.
Invece ce l'ha in mano una che tedierebbe soltanto gli animi, esattamente come ha fatto la tizia del libro che ho appena letto. Con arroganza per giunta.
Se mi incontrasse Tantalo probabilmente mi darebbe una pacca sulla spalla e tornerebbe al suo supplizio compatendomi.
Comunque... Se avessi bisogno di un aiuto per scrivere qualcosa di estremamente acuto: eccomi, ti faccio anche lo sconto.
Perché con le parole ci ho mangiato durante questo lock-down e se non fosse stato per la bislacca idea di costruirmi un sito "faidatenoalpitour" in cui mi proponevo come ghostwriter so mica se sarei riuscita a pagare l'affitto tutti i mesi.
E tu? Come te la sei cavata in questo periodo assurdo che ha destabilizzato un pianeta tutto intero?


sabato 11 gennaio 2020

Ansietudinia

Toh, una sensazione.
Che persiste tra l'altro.
È nuova o dimenticata, ma punge come fossero interi campi di orzo che mi si agitano nello stomaco e si aggrappano con le loro radici alla terra di cui sono fatta dentro e fuori.
È qualcosa di più doloroso dell'ansia e di più frivolo dell'inquietudine che si appoggia su uno spesso strato di frenesia.
Mi sono sempre creduta più brava di te nel dare i nomi alle cose, perciò capirai il mio sgomento quando ho realizzato di averti conosciuto solo ieri. Sei nuovo o sei anche tu dimenticato?
Ti riconoscerò ancora domani e l'indomani del domani finché SBADABAM non ci separi?
A star qui dove sono ora ci si sente piccoli come un chicco di quell'orzo che ti sbatacchia dentro e il pensiero di come possano campi e campi di orzo agitarsi nella pancia di un unico chicco non ha nemmeno lo spazio per germogliare.
La colpa non è tua, ma la causa sì e nemmeno se lo sapessi potresti farci qualcosa.
È tessera di domino che si appoggia a tessera di domino e colora il suo percorso a forma di frattali di Mandelbrot.
Nulla è affidabile in questo momento e soprattutto nulla è reale, ma io avrei così tante parole da mettere una accanto all'altra da colmare il divario tra te e te che finiresti inspiegabilmente per diventare me. Ma a quel punto io dove andrei a finire?
Quanto spazio occupi e di che profumo sei? Ma soprattutto, in quale voce abiti?
Anche se sono piccola in questo momento ascoltami: se non vuoi essere inseguito non metterti a correre. Se non vuoi essere cercato non nasconderti. E non sto parlando di me. Io non inseguo e non scavo. Io busso, ringrazio e fingo di dimenticarmi di abbracciare solo perché non so più come si fa.
Non resta che aspettare e respirare nella certezza che questo vento passerà presto, così come è venuto.
Per intanto rimango a titillare l'idea che in un universo parallelo possa succedere, sia già successo, stia ancora succedendo.




mercoledì 8 gennaio 2020

Sfizio

Probabilmente sto ignorando qualsiasi evidenza, ingigantendo casualità, vedendo oltre la logica e soprattutto, mi sto illudendo, ma ho comunque voglia di ringraziarti.

E me la tolgo.

Grazie.

Saranno piccole cose, dettagli, ma permetti che me li assapori fino all'ultimo sospiro?

Immagino di non essere chi ti aspettavi che fossi (anche nel caso in cui non avessi avuto alcuna aspettativa), però c'è da dire che nemmeno io ti aspettavo.
Mi sei piombato tra capo e collo talmente all'improvviso che non ho avuto tempo per ignorarti.
Non sono brava a ignorare le emozioni. Ho passato troppo tempo a non ricordare più cosa fossero, e anche oggi non è che riesca ad afferrarle tutte.
Perciò, quando se ne presenta una, ci faccio caso.
Di tutte quelle che potevano bussare tre volte un giorno alla mia porta, tu sei decisamente la più assurda. Non avevo mai capito la frase "gli opposti si attraggono" fino ad ora.
Tu chi sei, mi avevi sussurrato quel giorno senza chiederlo.
Io sono tutto ciò che non sei tu. Sono vaniglia e fetta di pane, contenuto e parole, verità e libertà, porta aperta e pudore. Sono acqua limpida e bei sogni, speranza e saggezza. Sono ciò che di più speciale e irraggiungibile potesse mai capitarti nella vita e non illuderti che non lo sappia. Lo so.
Esattamente come so che tu sei zenzero e artiglio, vuoti e silenzi, confusione e schiavitù, buco di serratura e pelle d'oca. Sei caffé e incubi, dubbi negati e frutto acerbo.

Eppure, la voglia di abbracciarti è inversamente proporzionale alla distanza che separa i nostri due poli, quasi fossimo la scissione chimica di una stessa entità che non troverà pace fino a quando non si sarà mischiata di nuovo tra sè e sè.


Resta qui.






martedì 20 gennaio 2015

La teoria del tuttottutto nientenniente

Mi hanno portato al cinema a vederlo e io ci sono andata perchè avendo cambiato città, lavoro, vita e tutto il resto, se qualcuno ti invita per la prima volta ad andar da qualche parte non è carino passar subito da sociopatica e dire che non c'hai voglia. Così ho detto sì e mi son lasciata portare.
Il fatto che fossi la più vecchia del gruppo non ha giovato, suppongo, però ritengo di poter essere comunque obiettiva nel dire che sto film lo hanno ceffato di brutto.


Riassumendo all'osso: è la storia di lui a cui danno due anni di vita, e di lei che si innamora comunque di lui e poi loro si sposano mentre lui sta facendo una brillantissima tesi di laurea basata su una geniale teoria che passerà il resto della vita a smentire.
Nel frattempo non crede in Dio, poi però pare che ci creda, ma alla fine secondo me non ci crede di nuovo e questo perché cerca di trovare la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto senza l'aiuto di Deep Thought. Nel mentre, i due anni passano e lui resta talmente vivo che ogni volta che tocca la moglie fanno un figlio, perché (spiega lui) il corpo non funziona un granché, ma l'apparato riproduttivo, urca sì, funziona di brutto e in automatico. Suppongo sia per questo che, seppur avanti con gli anni, costretto su una carrozzella e incapace di parlare, riesce comunque a trovarsi l'amante e a lasciare la moglie per risposarsi una seconda volta.

Intendiamoci, Eddie Redmayne è davvero molto bravo a sclerarsi lateralmiotroficamente man mano che il film si evolve, ma io mi aspettavo un po' più di scienza, un po' più di universo, che nella sigla finale l'hanno messo, ok, ma francamente speravo arrivasse prima.

Mi chiedo se a lui sia piaciuto...

venerdì 19 dicembre 2014

I casi della vita e della morte

In questo preciso istante son viva.
Anche tu che mi stai leggendo sei vivo. Ne sono abbastanza certa. (Posto che George A. Romero, non sappia qualcosa che io ignoro).
E probabilmente io e te siamo vivi perché non ci siamo mai incontrati.
Ah, ci siamo incontrati?
Allora siamo vivi perché ci siamo incontrati.

Prendi quei due miei amici che sono morti in un incidente stradale. Insieme. Se non si fossero mai incontrati non sarebbero morti. Per lo meno non lì, in quel momento, insieme. Sarebbero ancora vivi. O magari uno dei due sarebbe vivo e l'altro morto anni prima, chissà dove, chissà quando. Non so cosa sarebbe successo se avessero percorso strade diverse, ma so di per certo cosa è successo sulla strada che stavano percorrendo insieme.

Io sono indiscutibilmente viva (no Shyamalan, il tuo era solo un film, non rompere!).

Quindi posso ragionevolmente dedurre che stare 12 anni con te mi abbia salvato la vita.
Ok, nessuno può sapere cosa sarebbe successo se non ci fossimo mai incontrati, magari sarei sopravvissuta comunque e sarei potuta diventare un'astronauta, una paleontologa o una velina (no, quest'ultima mi sento di escluderla a priori per via del mio metro e cinquanta), ma so di per certo che con te non sono morta, perciò i momenti passati insieme mi hanno tenuta lontana dai momenti che avrebbero potuto farmi fare una brutta fine.

Inoltre, è probabile che anche avermi confessato 5 anni fa tutte le tue malefatte in una botta sola e avermi così indotto a partire per ricostruirmi una vita altrove sia stato utile alla mia sopravvivenza.
Magari, avessi tardato anche solo un altro mese, ci saremmo potuti trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Magari no, ma tu lo sai come sarebbe andata se avessi tardato anche solo di un altro mese? Io non lo so.
Quello che so è che son qui che scrivo e che sono decisamente viva (Darabont, e mollaci pure te... La tua è solo un'improbabile serie televisiva, oserei dire anche parecchio criticata).

Quindi non mi resta altro da fare che dirti grazie e sperare che gli avvenimenti imprevisti, gli incontri, le coincidenze e i casi, continuino a essere della vita e non della morte.



venerdì 28 novembre 2014

Un buco nero di nome Andrea

Avrei voluto esordire dopo due mesi rivolgendomi a te, o ancor di più a te e invece questa volta parlo a un buco nero.

Darei qualsiasi cosa per poter nuotare a ritroso nel tempo fino ai tuoi dieci anni, quando mi rubavi la chitarra, mi raccontavi i tuoi incubi e dovevo staccarti mani e piedi dal cancello di casa mia per portarti a scuola. In quel periodo avrei potuto avvisarti, prepararti meglio a quello che stava per succedere e probabilmente sarebbe stato saggio farti fare due o tre giri di bambagia tutto intorno per attutire le pugnalate degli anni a seguire, o avrei potuto portarti via con me e cambiarti colore per sempre, proteggendo i tuoi occhi da tutti gli spioncini appuntiti del mondo e facendoti conoscere altri mille padri migliori dell'unico che ti era capitato.

Qual è stato il tuo limite? Il tuo punto di rottura? Il mio non l'ho ancora raggiunto, ma tu mi hai portato a esplorare angoli di me così tremendamente bui che non immaginavo nemmeno esistessero.
Quando una notizia è troppo brutta per essere falsa, troppo innaturale per essere plausibile e troppo dolorosa per essere sopportata succede una cosa stranissima: il corpo le fa spazio. La carne si deforma, si contorce e si lacera, come se il dolore si facesse strada con un machete attraverso l'intricata giungla delle viscere. Ci scava dal di dentro e ci gonfia dal di fuori. Passa come un fiume in piena attraverso il varco che si è creato e poi se ne va, lasciandoti lì, a brandelli, fecondato da un nulla che cresce e ti riempie di vuoto.

Questo vuoto spaventoso, questo nulla amplificato ed elevato all'ennesima assenza è ciò che mi è rimasto di te ed è ciò che conserverò finché avrò respiro.

Occhi di bosco, soldato del regno, profilo francese, scusami per non aver capito quanto fosse profondo il tuo pozzo.

venerdì 19 settembre 2014

C'è post per tutt...

Eccomi son tornata.
Mi sono imbucata a una festa, quella della rete, (fu blogfest) e ora che son tornata, dopo aver fatto il giro largo, mi trovo qui a tirar le somme di quel che m'è rimasto e di quel che c'ho lasciato ma, soprattutto, delle gratitudini multiple da distribuire un po' qua e un po' là.

Intanto partiamo da quel che mi è rimasto.


Una volta svuotata la borsa, questo è press'a poco quello che c'ho trovato. 
A te che non c'eri potrà sembrare un pot-pourrie mal riuscito di chincaglierie senza valore, ma per te, che invece c'eri, son risate a crepapelle e vesciche ai piedi, colazioni abbondanti e passeggiate sulla spiaggia, vecchi amici ritrovati e nuovi amici (ri)conosciuti.
Quella specie di poltiglia a destra, per esempio, sono i biscottini che avevi "rubato" per me dal buffet della sfarzosissima colazione e che mi ero clamorosamente dimenticata nella tasca interna della borsa. 
Secondo me son buoni anche da sniffare. 
Quelle a sinistra, invece, son le tre conchigliette raccolte sul bagnoasciuga di Rimini: una per me, una per te e un'altra per te, salvo che poi mi son dimenticata anche quelle nella tasca interna della borsa e credo abbiano contribuito a macinare i biscottini.
Grazie di cuore per esserci stata anche in questa avventura, perché comincio a pensare che senza di te mi diverta comunque meno, a prescindere dai "dove" e dai "con chi".

Gli occhiali per vedere positivo me li hai regalati tu, dopo che te li ho elemosinati mezz'ora (che magari me li avresti regalati comunque), ma ti ringrazio soprattutto per esserci stato in tutta la tua simpatica, colossale, rassicurante e bofonchiosa presenza che mi faceva sentire serena ovunque andassimo, posto che rimanessi nel raggio d'azione della tua ombra così, alla mal parata, mi sarei potuta nascondere nel taschino della tua giacca. 
Che poi, te, ti devo ringraziare anche tanto, ma tanto tanto, per il libro che mi hai regalato e che è diventato più mio nel tempo di un viaggio, che tante altre cose nel tempo di una vita.

Veniamo a te, te e te, amiche nuove di pacca, così pazzescamente diverse l'una dall'altra che mi chiedo come possa essermi innamorata di tutte e tre così, all'improvviso. Te che la mattina sei sonnacchiosa, ma dolce dolcissima che potessi ti vorrei svegliare ogni santo giorno solo per sentirti raccontare i sogni strambi che fai.
E te? Così tremendamente bella e brava da sembrare una che ti azzanna alla giugulare se solo ti avvicini un po' troppo, invece sei un pezzo di pane buono, di quello morbido fatto in casa che uno non ci si crede che sei la stessa che spara certe bordate quando scrive. Eppure mi sei piaciuta al punto che, chi ti molla più?!
Poi ci sei te, che ti conoscevo di striscio e che lo supponevo fossi una bella persona, ma non pensavo così tanto bella. Sapessi come si fa, vorrei bendarti gli occhi e prenderti per mano per farti passare incolume su questo ponte sospeso e traballante che ti rallenta i pensieri dalla paura di non farcela. Ma ce la farai anche da sola, che poi da sola non sei nè lo sarai mai perché sei a un tiro di sputo da quello che mi ha disegnato la mappa per arrivare fino a casa sua e che è talmente speciale da non essere nemmeno annoverabile fra gli esseri umani imperfetti secondo me.

Non che non abbia dei difetti tu, sia chiaro, ma li ammetti con un candore tale che disarmi in partenza anche l'essere più bellicoso del pianeta, figurarsi me che ti ho sempre visto come un supereroe. Lasciamo stare che sei un figo. Non è quello il punto. Il punto è che tu sei ben al di là dell'essere figo. Sei il protagonista di un film che oltre ad essere figo è intelligente e sensibile e onesto e buono e che, inspiegabilmente, si ferma ad abbracciare ogni comparsa in ogni singola scena per puro altruismo, così da fargli provare l'ebbrezza di un primo piano altrimenti impensabile.
Cioè, ti rendi conto? Roba che se ci fosse un regista ti urlerebbe ogni tre secondi "STOOOOOP!!!!!!" e ti farebbe ricominciare tutto da capo. Ma ho come il sospetto che tu, oltre ad essere il protagonista figo, sia anche lo sceneggiatore e il regista di questo film e quindi non c'è nessuno che ti ferma e io ti guardo stupita e ammirata, sperando di poter imparare il più possibile da te. 
Quando mi sei a tiro ti osservo tanto e da tutte le angolazioni possibili perché spero di impararti a memoria e, magari, un giorno, avere l'enorme privilegio di farti sentire anche solo per cinque minuti come tu fai sentire tutti quelli che ti incontrano sulla loro strada... Perché te lo meriti. So mica se ti rendi conto del bene che fai alle persone. Dirti grazie è troppo poco. Va coniato un altro termine più massiccio e meno abusato. 


martedì 9 settembre 2014

Vanilla's key (sottotitolo, l'assenza di Vaniglia)

Senti questa...
C'era una tizia che le piaceva scrivere (che poi sono io (inutile tirarla per le lunghe)) e aveva un blog (che non era questo) e un bel giorno la vita s'è allargata e il blog s'è ristretto.
Perché funziona spesso così: quando una cosa si restringe fa spazio a un'altra e viceversa.
Mica per tutti. Vedo un sacco di persone che hanno una vita larghissima e usano il blog per distribuirla meglio e perderne meno pezzi per strada.
La tizia però no, lei usava il blog come sala prove (è che parlare di me in terza persona conferisce maggior phatos alla vicenda). Non nel senso che ci suonava eh, oddio, forse un po' c'aveva anche suonato, ma comunque il punto è che le sale prove sono spesso piccole e insonorizzate e se cerchi un posticino dentro cui poterti chiudere per pensare in santa pace e "ad alta voce", ecco che un blog è l'ideale. Poi la sala prove s'era trasformata in magazzino di stoccaggio per la zavorra che non aveva voglia di camallarsi sulla schiena (dicesi camallare l'azione tipica del mestiere del camallo, lo scaricatore di porto genovese, che si trasporta con fatica sulla schiena, e/o un po' come gli pare, le robe da caricare/scaricare sulle/dalle navi) e alla fine, la cosa più saggia da fare sembrò quella di trasformare la sala prove in barchetta funeraria vichinga, mandarla alla deriva e dar fuoco a tutto il contenuto.
All'inizio s'è sentita più leggera, poi son passati i mesi, gli anni e la vita, si sà, è tipo fisarmonica (come il cielo d'Irlanda), perciò talvolta le mancava quel suo vecchio stanzino insonorizzato che, nel corso del tempo s'era allegramente sovraffollato di gente che andava e veniva e portava cose, ne prendeva altre (ammetto di avere seri problemi con la chiusura delle porte. Mai che mi riesca di esser definitiva. Se poi uno bussa non c'è storia, bisogna proprio che gli apra).
Insomma, gira che ti rigira, la tizia apre un altro blog (che è questo) e si dà un altro nome, principalmente perché s'era sentita un po' in colpa di aver abbandonato così, su due piedi tutto quel viavai di gente che, diamine, vuoi vedere che qualcuno era pure rimasto chiuso dentro e lei aveva finito addirittura per dargli fuoco insieme a tutto il resto nell'entusiasmo del rito vichingo?
Pur auspicando che no, ha ritenuto più saggio darsi un altro nome et voilà: altro giro altra corsa siore e siori!
Soprattutto se ci si ferma a pensare che la tizia aveva un'ottima reputazione prima di dar fuoco a tutto l'ambaradan e che, col nuovo blog e il nuovo nome, era partita malissimo elucubrando sull'impossibile cotta per un'improbabile collega più giovane nell'impensabile cornice del suo luogo di lavoro (sì vabbè, parlo al passato perché sono ottimista, ma sul serio, sono sulla buona strada per tornare a recuperare tutte le mie facoltà mentali e scrittoree... Gli ho pure levato l'amicizia da FB per debellarlo più in fretta).

Quindi, eccomi qui, volevo solo dire che son tornata, che sono io e che continuo a non sapere quanto rimarrò, ma fintanto che ci sono tenetevi la chiave, così potete entrare a qualunque ora senza nemmeno più bussare (chè mi siete mancati tutti).


mercoledì 3 settembre 2014

Where or when?

Giornata lenta...
Tu un po' non ci sei, un po' ci sei.
Poi me ne vado io quando ci sei tu e allora è gel...ato di soia e anguria, ma da mangiare dopo, davanti al film con Effe.
Il film è drammaticamente mio e sembra di esserci dentro e di non poter più uscire. Anche alcune parti della sceneggiatura sono mie, per non parlare dei gesti, dei colori e di certi sguardi di lui, che vorrebbe sembrare Jason, ma in verità sembra me, che vede nel futuro e sa fermare il tempo, ma poi non sa più come  farlo ripartire.

Torno verso casa a piedi e penso prima al gatto del film, poi penso a te che vorrei incontrarti per caso, poi ripenso al film e a quella canzone (questa) e mi dico che è vero, che some things that happened for the first time, seem to be happening again, ma soprattutto so it seems that we have met before, and laughed before, and loved before, but who knows where or when e allora mi sembra crudele averti riconosciuto per prima.

Intanto sono già a metà strada e sì, diamine, se ti incontrassi per caso, di notte, magari sotto i portici, possibilmente un po' brillo (così l'indomani non ti ricorderesti niente), ecco sì, se andasse così, ti bacerei sicuro.

Son quasi arrivata, devo solo attraversare la piazza, passare sotto i portici e scender giù per il vicolo, quando all'improvviso mi arriva da lontano della musica. È mezzanotte e mezza, un po' troppo tardi per tutto, ma girato l'angolo me li trovo davanti che ballano e capisco che se si chiama Tango illegal ci sarà un perché...

Mi fermo cinque minuti a guardarli perché son tanti e son belli. Poi vado verso casa, apro la porta, poso la borsa sul divano, vedo dal cellulare che Effe mi ha mandato il link di un video (questo) e schiaccio play. Mezzo secondo dopo squilla il telefono fisso.
All'una meno un quarto?
Sul display del cordless il numero di un cellulare che non conosco. Oddiomachipuòessereaquest'oravuoivederecheèsuccessoqualcosaaqualcuno?

Pronto?
... ... ... (rumori in sottofondo)
Prontopronto?
... ... ... (è la tv, vai a capire su quale canale)
Però io ti sento che sei lì, è quasi l'una di notte, tantovale che ci facciamo una chiacchierata no?
... ... ... (spegne la tv)
Chi sei?
... ... ...
Vabbè, se non me lo vuoi dire, almeno dimmi chi sei.
... ... .. (riaccende la tv)
E allora se tu riaccendi la tv io continuo a guardarmi il video che mi stavo guardando. Vuoi sapere quale?
... ... ... ...
Marina Abramovich al Moma nel pieno di una performance d'arte moderna che però prende una strana piega a un certo punto... Guardiamocelo insieme, ti va?
... ... ... (sento che pesta sulla tastiera del pc)

A video finito io sto zitta, la persona dall'altra parte pure. Non so per quanto tempo, ma è stato quasi bello. Poi ha messo giù.

Avrei voluto sperare che...
Ma è un peccato davvero, tanto io già lo sapevo, che comunque non potevi esser tu.






venerdì 29 agosto 2014

Il presente presente e la fatica del prima e del poi

Mi dici che ci son discipline fatte apposta per insegnare a vivere nel presente, non perdendosi nel passato mentre si sta progettando un ipotetico futuro.
Ti dico che per me non ha senso perché in una bolla di sapone c'è spazio solo per il presente.
Io mi sforzo tremendamente di ricordare il "fu" per non ripetere gli stessi errori e mi sforzo ancor di più di pensare al "poi" per porre le basi in vista di qualcosa. E questo perché vivo l'adesso e con "adesso" intendo proprio l'ora e il qui.
Per esempio, credi che abbia già pensato a dove voglio arrivare con tutto questo che sto scrivendo?
Macché... Intanto scrivo e da qualche parte arriverò.
E non voglio dire che io non programmi le cose.
Devo farlo e mi ci impegno anche parecchio. Se non lo facessi sarei sempre allo stesso identico punto di sempre. Come se uno camminasse tantissimo e fortissimo, ma su un tapis roulant. Perché il presente è continuamente presente. È il passo mentre lo stai facendo, la palpebra che si chiude mentre la stai chiudendo e si apre mentre la stai aprendo...
Alla faccia di chi dice che non esiste l'attimo presente perché nell'istante in cui lo pensi è già passato.
È sbagliato il soggetto.
Non è l'attimo a essere nel presente, sei tu. Sono io. Siamo nel presente senza scampo di essere altrove. Non puoi evitarlo nemmeno volendo.
Come caspita si fa a vivere più facilmente nel passato o ad avere la testa nel futuro? Per me è inconcepibile.
Sono carne, sangue, ossa, voce e pensieri, tutta intera nel presente.
Del capello caduto devo dire che non me ne può fregare di meno.
E del capello che cadrà non ne parliamo.
Il capello caduto che mi sta solleticando tra la maglietta e la pelle, ecco, quello sì che mi urta.
Se dovessi lasciar scorrere me stessa spontaneamente, senza dighe o deviazioni (cosa che talvolta non riesco ad evitare), mi ritroverei a chiudere la porta di casa dopo una giornata di lavoro dimenticandomi fuori tutto quello che è successo prima o che deve succedere dopo. Nomi, cose, città, persone, tutto, talvolta anche me stessa.
Che quando poi è capitato sul serio è stato un bel casino.
M'aveva detto: "Fammi uno squillino quando arrivi a casa" e io, "certo!!" (perché era l'una di notte, io tornavo a casa da sola su un bus pieno di albanesi ingrugniti e portoricani alticci, ci stava che si preoccupasse insomma).
Bè, io chiudo la porta arrivata a casa e via, quel che è dentro è dentro (cioè io), quel che è fuori è fuori (cioè tutto il resto, buoni propositi compresi). I cellulari fanno parte di quelle cose che fisicamente porto dentro, ma che poi, virtualmente rimangono fuori perché tanto c'hanno la batteria perennemente scarica.
È finita alle due di notte con una persona in pigiama davanti al mio portone che suonava disperatamente il campanello credendo di dover andare alla polizia a denunciare la mia scomparsa.
Forse è una forma di egoismo.
Anzi, sicuramente è egoismo.
Che questa tendenza, per quanto tremendamente liberatoria, non sia nè saggia nè naturale lo capisco da me e infatti cerco di combatterla, ma quello che non capisco è: se io, che sono già così, mi impegno con tutte le mie forze per esserlo il meno possibile, come diamine fai tu a passare la vita a insegnare ad altri a esserlo.
E se poi diventano come me?!?
Te lo immagini un mondo di gente che fa quello che sente nell'attimo in cui lo sente e come lo sente perché ormai ha preso a scorrere in quella direzione?
Che poi, ci son cose che faccio quando le sento e come le sento senza far danni, è vero, tipo buttar giù bigliettini dalla finestra alle due di notte per parlare di cinema con gli ultimi ragazzi della movida, rimasti a bere nel vicolo (io li vedo che alla fine se li conservano come un regalo inaspettato piovuto dal cielo i miei bigliettini, disabituati come sono ai messaggi scritti a mano...), ma ci son cose che invece qualche danno lo fanno perché, per antonomasia, una cosa fatta adesso per l'adesso, non può tener conto degli effetti che causerà sul poi. E allora magari, sull'onda della gelosia bambina dell'altro giorno, si finisce per vedere il tuo pc acceso mentre non ci sei, con un tuo pezzo lasciato a metà, nudo e indifeso... Allora è un attimo mettere una p al posto di una t, lì in fondo, giusto per vedere se te ne accorgi prima della pubblicazione...
Non te ne sei accorto :-)





giovedì 21 agosto 2014

Ognuno c'ha gli spammer che si merita...

Ubaldo Manocchio
Geltrude Montanaro
Godeberta Airoldi
Prospera Annibali
Sofronia Beccaria
Diocleziano Nadini
Imelda Avallone
Genoveffa Mansos
Democrito Bergamasco
Orlando Cristoferi
Annibale Giaco

E pare mi scrivano per segnalarmi la loro ragazza più calda che porta a scuola tutte le marche famose, le stagioni che vanno e vengono, l'orologio perfetto per soddisfare le vostre completo manager (sic) e, dulcis in fundo, il regalo meraviglioso per una persona amata.

10 e lode al pensatore anagrafico.


Dualità

Volume alto.
Quanto?
Tanto.
Perché così non si può, così non si fa. Così non è onesto.
È torcicollo.
L'immagine di te (di chi?) è perplessità e sconcerto (di-te?).

Dicono (dico-no) che è possibile ciò che non è probabile se talvolta è probabile anche l'impossibile. Ma l'inconcepibile?
È soggettivo.
E per me era inconcepibile, è inconfessabile, sarà intollerabile e tu non lo puoi nemmeno immaginare tanto quanto (voi non lo potete immaginare).

È guerriglia a cielo aperto e imboscata.
Sono fendenti dall'alto e dal basso, di spalle e di fronte, da vicino e da lontano, inaspettati come ghiaccio caldo sulla schiena.
Dove devo guardare? A chi sto parlando?

Vallo a capire.
Anni di niente e ora, è doppio tornado nello stesso sacchetto di patatine.
Non ne bastava uno. No.
Due.
E non ti montare la testa (no, non tu, l'altro. Tu te la sei già montata). Dev'essere il momento. Devo essere io che ho scordato la porta aperta e ora non so più dov'è. La porta.
È come chiedere l'elemosina una vita intera per poi morire travolti da un treno carico d'oro.
Ciò che non sei tu è lui, ciò che non è lui sei tu e di quello che scrivo ci capirete a metà perché, per poterlo comprendere tutto intero, dovreste fare ciò che sarebbe ora faceste una buona volta: fondervi in una sola entità. Non importa di chi il volto, di chi le mani, di chi i capelli. Mi bastano i tuoi silenzi sussurrati e le tue parole scritte, i tuoi sguardi persi e i tuoi stupori ritrovati, le tue spalle larghe e i tuoi anni in più, i tuoi movimenti perfetti e la tua voce di velluto nero (5 a 3 per te).

Tu, che lo so che ci sei rimasto peggio (carezza), dormi.
E tu veglia, sui miei vuoti, le mie gioie, i miei dolori e le mie insonnie fino a che lui non riapre gli occhi.

Brutta sensazione quella di essere due in così poco spazio vero?
A casa mia altro che due eravamo... Stavo stretta fra dieci, cento, forse mille donne che io ci provavo a cercarmi lì in mezzo (c'ho provato) e non mi trovavo mai da nessuna parte. Credo di averle perse così le emozioni.
O forse era solo volume basso.



lunedì 18 agosto 2014

Sogno...





Ho sognato che te ne volevi andare da qui e ho annaspato nel nulla fino a che non mi sono svegliata.

giovedì 14 agosto 2014

Ti sento per dritto, m'illudo al rovescio e t'osservo in obliquo

Com'è che sta cosa non mi passa, a occhi aperti non so spiegarmelo.
A occhi chiusi sì.
Ti sento forte, come un pugno alla bocca dello stomaco che più t'avvicini, più spingi sul diaframma e spezzi il fiato. Mi fai pelle d'oca a un metro di distanza, se poi mi ti siedi accanto come oggi, è vertigine e perdo l'equilibrio (per fortuna son già seduta e non si nota).

M'illudo di non desiderare ciò che desidero senza però mai immaginare l'oltre, perché ciò che immaginiamo prima o poi succede (lo sapevi?) e allora traccio confini ai sogni per farli arrivare solo dove è lecito (seppur non vantaggioso), ma è brivido ugualmente, esattamente come quando fingo di credere che certi grassetti con link tu li abbia sistemati lì perché ci potessi inciampare io.

E poi, ora che ti sei spostato, mi basta sbirciare dietro la mia spalla sinistra per vederti senza che tu mi veda e sono i miei occhi adesso a torturarti la nuca come piuma silenziosa, respiro leggero, carezza promessa e mai mantenuta.

(Ohpporcaccialamiseriaccia è appena successo... ... ... ... Mi stavo alzando per andare in bagno quando ho visto che non eri al tuo posto e allora non ce la posso fare. Se so che sei di là, io devo restare enantiosemicamente di qua. Poi sei tornato di qua e io sono andata di là e mentre mi lavavo le mani pensavo solo a quanto avrei voluto girarmi e trovarti lì, ma era impossibile perché c'eri appena stato e poi, mi tocca dirlo, a me non capitano mai le cose mentre le sto desiderando (perché non lo so ma è così, mi capitano quando ormai ho smesso di desiderarle e capisci bene che non è la stessa cosa)... E invece ho desiderato fortissimamente a occhi chiusi che fossi lì, mi sono girata e c'eri per davvero).






mercoledì 13 agosto 2014

Ingorgo

Gli eventi scorrono.
Si distribuiscono in ordine sparso lungo il tempo che stiamo vivendo e tra l'uno e l'altro si accumulano le consuetudini, la noia, le abitudini (la polvere): beremangiaredormiresognare(nonsempre)svegliarsiandarealavorare(sempre)ribererimangiareritornareacasa... Da capo.
Poi, vai a capire perché, ogni tanto ci si ingolfa e gli eventi pure si incolonnano uno dietro l'altro nell'attesa che la personalissima tangenziale che attraversa nel mezzo il tempo e lo spazio che ci appartengono sia riaperta.
Io non mi ero nemmeno accorta del tutto che la mia si fosse chiusa. Oddio, sì, vabbè, erano due o tre anni che le cose filavano con una certa regolarità. Più tre che due.
Encefalogramma emozionale tendente al piatto con pochi, insignificanti picchi di euforia passeggera.
Sono i periodi in cui i cerotti restano nell'armadio, per intenderci. Non ci si taglia nemmeno un dito mentre si pelano le patate. Si piange zero. Si ride il giusto.
Alcuni ci metterebbero la firma per vivere senza scossoni e io, effettivamente, mentirei se dicessi che mi sono lamentata, anzi, mi sono crogiuolata nella pacifica serenità azzurrina che una tangenziale quasi completamente sgombra ti concede. Ci puoi giocare a pallone in mezzo, per esempio. Ti ci puoi sdraiare per guardare il cielo, che tanto sai che non c'è pericolo e se ti ci vuoi apparecchiare un pic nic proprio al centro, perché no? Chi vuoi che passi?
Poi un giorno ti svegli e scopri che si è riaperta la strada. E chi diamine l'ha riaperta?!
Tu sei immobile e senti lo spostamento d'aria degli eventi che stanno per arrivarti addosso tutti insieme, tutti in una volta e tutti a velocità sostenuta per recuperare il tempo perduto.
Li percepisci che ti bucano lo stomaco da parte a parte, via uno l'altro senza lasciarti il tempo di riprender fiato che subito ecco il prossimo.
Un viavai dodecafonico di tracce che ti frastuonano dentro e fuori, che sibilano come proiettili di emozioni senza redini a ricordarti che che sei indiscutibilmente e irrinunciabilmente vivo.



martedì 12 agosto 2014

More than ferie...



Cosa credi che non lo sappia che leggi?
Lo so che leggi. Se no cosa scriverei a fare?
Lavoro ce n'è poco, agosto avvolge l'ufficio come una bella copertona calda e appiccicaticcia. Tu sei sempre lì dietro e io, in barba a tutti quelli che si stanno facendo le ferie convinti di essere invidiati, dico: non da me.
Non scambierei questo agosto in ufficio con nessuna feria al mondo.
C'è pace, c'è il caffé al ginseng, ci sei tu che mi aspetti per salire le scale dopo il caffé. Cosa credi che non lo sappia che mi aspetti per salire le scale?
Lo so che mi aspetti. Se no cosa le salirei a fare?

lunedì 11 agosto 2014

Pensando a chi ti pensa senza sapere che tu sai che ti stanno pensando



 Perché tu, quella volta là, mi hai detto: strano sapere di essere nei pensieri di qualcuno.
Come se capitasse di rado questa cosa di esser pensati a nostra insaputa.
Ma no...
Per uno (te) che sa di essere nei miei pensieri, ci sono un bel po' di persone che non hanno mai saputo di esserci, ma che ricordo distintamente a distanza di anni.
Mi si sono appiccicate lì.

Come quel ragazzo giapponese che ho visto dal finestrino del mio treno in partenza a Porta Nuova tanti anni fa. Se ne stava seduto sulla panchina di marmo del binario 19, appoggiato al suo grande zaino e mi ha guardato mezzo secondo con gli occhi più a mandorla che avessi mai visto fino ad allora.
Oppure Jonathan. Ci giocai in un parco a Loano quando avrò avuto sì e no 6 anni. Ci divertimmo, poi la mamma lo chiamò (Jonathan) e lui mi salutò.
Mai più visto. Eppure mi è capitato addirittura di sognarlo una volta e ora sto parlando di lui e mi sto chiedendo se ci sia ancora da qualche parte, a distanza di quasi trent'anni.
Poi c'è la bambina del supermercato. Non c'ho manco parlato. Sarà stata un po' più piccola di me, forse dieci anni. Mi son scoperta a guardarla perché era di un bello particolare e lei invece l'ha presa un po' strana e da lontano m'ha fatto "Où" con la mano e io mi son messa a ridere perché non poteva capire che la guardavo per il bello che emanava e ho pensato che c'aveva ragione a farmi "Où". Ho smesso di guardarla, ma non di ricordarla.
Poi a Savona, nel 2001, ho visto l'attacchino di colore che attaccava un enorme manifesto proprio ai bordi di un ponte, talmente in bilico sulla scala che sarebbe bastato poco poco per farlo finire nel fiume giù di sotto. Non l'ho nemmeno visto in faccia, era di schiena e aveva un maglione rosso. Me lo ricordo come se l'avessi fotografato. Avessi avuto una macchina fotografica, ho pensato poi, sarebbe stato da fotografare sul serio.
Così, da quando sono arrivati i telefonini che fan le foto, se mi accorgo di sentire quel click interiore di una foto appena scattata nella testa, provo a scattarla per davvero (senza farmi sgamare).
Come il signore buono dello scompartimento sul treno Torino - Genova nel 2009.
Il mio era un viaggio senza ritorno, stavo così così e quindi non parlavo con nessuno. Lui era seduto di fronte a me, grande e grosso, con una pancia planetaria e un muso rincagnito che non trasmetteva proprio una frizzante gioia di vivere. Ma poi, strada facendo, ho scoperto che era buono, di un buono oltre il limite della bontà. Paziente e buono (viaggiava con la moglie). L'ho fotografato di sottecchi perché me lo volevo ricordare, lui e la sensazione di fiducia nella bontà umana che mi ha trasmesso nel giro di poche ore.
Potrei andare avanti tutta la notte a parlare di tutte quelle persone che ricordo e che suppongo non sappiano niente di me, ma è tardi e mi fermo qui. Tutto questo per dire due cose.
A te, che sicuramente, non sei solo nei miei pensieri, ma sarai nei pensieri di tantissime altre persone (tanto più che non puoi passare inosservato).
A me, che magari, da qualche parte del giappone, in questo preciso istante, c'è un uomo con gli occhi a mandorla che si ricorda di una tizia spettinata dietro il finestrino di un treno che l'ha fissato per mezzo secondo.

sabato 2 agosto 2014

Gli uomini non capiscono le donne, ma non so se sanno che spesso neanche le donne si capiscono da sole


Lei guarda lui (Mamma mia che figo quel tipo lì...).
 
Lui si accorge che lei guarda lui e allora ammicca con l'occhietto da triglia.
 
Lei nota l'ammiccamento (Wè, ma che ce l’aveva con me? Come si permette?Son mica una di quelle io...), sguardo truce, braccia conserte.

Lui nota che lei ha notato l'ammiccamento e s'è un po' risentita e pensa che forse, allora, non è che prima guardasse lui, magari guardava quello là dietro, così si adegua.

Lei nota che lui guarda oltre (Ah no, mi sa di no, guarda dietro, forse ha salutato un amico…).

Segue il di lei sguardo pentito, cincischiamento di braccia e sbattimento di ciglia simil fidanzata di Bambi (Che poi alla fine, a voler essere proprio sincera sincera, non mi sarebbe dispiaciuto se avesse guardato proprio me, è davvero un figo…).

Pausa… … …

Lui si accorge del cincischiamento e dell'evidente defiance in cui è capitolata lei e torna all'attacco.

Lei nota che lui è tornato all'attacco (Eh no, aspetta, guarda proprio me! Mi sta proprio fissando! E insiste!!!!).

Lui nota il fremito e interpretandolo come un incoraggiamento lancia un altro ammiccamento titubante, forse un po' confuso, ma pur sempre piacione.

Lei a questo punto non può più dubitare in alcun modo che l'ammiccamento fosse rivolto altrove (Anvedi questo burino cafone troglodita…).

Urlo: “VUOI UN POSTER O TI BASTA L'AUTOGRAFO?”.

Lui: “Stronza!”.

giovedì 24 luglio 2014

Secondastellaadestra e poi drittofinoalmattino


- Ciao
- Ciao...
- Ma dove siamo?
- Bella domanda, speravo potessi dirmelo tu.
- Macché, è stato un attimo e mi son trovato qua.
- Pure io. Prima ero... e subito dopo... Ma tu guarda che buffa sta storia.
- Bè, intanto piacere di conoscerti.
- Piacere mio.
- Certo che è proprio una strana situazione.
- Già, non l'avrei mai e poi mai immaginato.
- Di parlare?
- Sì, bè... Anche. Ma pure di potermi ritrovare qui, così, all'improvviso.
- Non dirlo a me... Un attimo fa ero convinto di essere esattamente al mio posto.
- Giura?
- Eh...
- Pure io! U-GU-A-LE! Ma quanto è pazzesca questa cosa...
- A raccontarla non ci si crederebbe.
- A chi poi?
- In effetti...
- Anche se qua, a ben guardare, siam mica soli...
- Eh no, l'ho notato... Chissà se pure loro... ... ...
- Pure noi...
- Fico!
- Ma secondo te quanto tempo abbiamo?
- A rigor di logica, così come siamo arrivati qui, potrebbe succedere che ce ne torniamo da dove siamo venuti.
- Dici!?
- Dico, dico... Anche perché altrimenti è un casino. Cioè, se siamo tutti qua, di là chi ci rimane?
- Eh, ma infatti.
- ... ... ...
- ... ... ... ...
- Il panorama non è male.
- No, anzi... Quasi meglio che di là.
- Se poi metti in conto che qua parliamo...
- Sì sì, come darti torto.
- ... ... ...
- ... ... ... ...
- È che non ci sono abituato.
- Neanche io a dirla tutta...
- Se sapessimo come ci siamo arrivati qui, forse sarebbe più facile capire come andarcene.
- E magari, all'occorrenza tornare... Così, tanto per riposarci un po'...
- Tipo una vacanzina?
- Tipo...
- ... ... ...
- ... ... ... ... ...
- Comunque bello davvero il panorama.
- Già...

UN IMPRECISATO PERIODO DOPO

- Osta ho ritrovato l'accendino. Eppure giurerei di averci guardato un milione di volte qui. E lui dov'era? Qui.
Certo che è proprio strano.

- गीता के सभी देवताओं के लिए, मैं मैं बहुत समय खो दिया था माना कि कलम से बाहर कूद गया. अरे हाँ कि मैं हर जगह एक पागल की तरह देखा. (!!!) यह वास्तव में अजीब है. बहुत अजीब.
Trad: Per tutti gli dei della Bhagavadgītā, è saltata fuori la penna che ero convinto di aver perso da un sacco di tempo. (!!!) Eh sì che l'ho cercata come un pazzo dappertutto. Tutto ciò è davvero strano. Molto strano...

martedì 15 luglio 2014

Nel tempo e nello spazio...









Un due tre quattrcinq...seisett...o...t...t...Toh...

C'ho sempre un po' riflettuto su quante parole ci stanno nel tempo e nello spazio.

Di una canzone.

Perché nel tempo e nello spazio in generale ce ne starebbero talmente tante che non basterebbe l'eternità a riempirlo e allora penso che solo per il fatto di averla pronunciata, (l'eternità intendo), ecco, solo per questo deve esistere, come le parole stesse e prima d'esse le infinite combinazioni tra lettera con lettera, solo poi, parola con parola, frase con frase, discorso con discorso, a riempire ogni spazio dal dentro al fuori, in espansione come l'universo stesso che si stende a coprire l'infinito perché non prenda freddo, anche se il nostro cervello inscatolatostretto può mica comprendere fino in fondo, solo intuire, ma se lo intuisce, da qualche parte vuol dire che c'è, o c'è stato, o ci sarà perché noi non inventiamo niente: uniamo i puntini e vediamo che disegno ne vien fuori, scopriamo, o copiamo, che ad esser sinceri era la cosa che ci veniva meglio a scuola (parlo per me e forse per te, non per lui), ma pure dopo, tanto che gli abbiamo cambiato nome ed è diventato "prender spunto", "remake", "biomimetica" e anche un po' "te", che mi credevo di averti inventato e invece ci sei per davvero e ti ho copiato un pezzo qua e un pezzo là, legato stretto con lo spago dei ricordi e ricoperto di carta da lettere già scritta e musica già suonata, senza testo, perché il testo sei tu e lo so a memoria, dall'inizio alla fine dello spartito, obliquo, perché a suonar per dritto son buoni tutti quindi meglio in obliquo, che se ci pensi c'è più spazio, il tuo, e non fingo mai quando dico che nel tuo tempo e nel tuo spazio ci stavostarò comoda, tanto da potermi srotolare senza timore di sbattere contro lo spigolo della sveglia che sta per suonare e che mi desterà da un sogno che non riuscirò più a ricordare, a meno che tu un giorno non voglia tornare indietro per seminarlo sotto la terra in cui sto scavando a mani nude per ritrovare tracce di un sogno che ricordo di aver fatto senza sapere quando, ma ben sicura del perché e che vorrei mi germogliasse tra le dita, facendomi il solletico e svegliandomi di nuovo dal sogno in cui scavavo per cercare l'altro sogno in cui c'eri tu, che non ne vuoi proprio sapere di uscir fuori dal sogno del sogno che forse, a ben pensarci, non è nemmeno mio, e stai a vedere che salta fuori che è tuo e che te lo devo restituire, ma a questo punto ti dico che ok, va bene, te lo restituisco, un pezzo per volta, come un puzzle senza scatola così non saprai che i pezzi sono infiniti quanti gli anni che ci restano da vivere per scoprire che se non sai di dover morire vuoi vedere che non morirai affatto?






(E il resto è soltanto sigla, senza titoli di coda perché ciò che sembra un finale, magari è soltanto l'inizio di qualcos'altro...)




giovedì 10 luglio 2014

Come trasformare una giornata no in una giornata wow con un piccolo folle trucco


Ti sei svegliato e non ne hai inanellata una per dritto?
Ti senti come se dovessi rotolare su per una montagna con una mano il masso e con l'altra Sisifo?
Sospetti che se Prometeo ti vedesse oggi direbbe a Zeus: "No, tutto, ma non farmi quello che hai fatto a quest'essere ti supplico!!!".
Un modo scientificamente comprovato e matematicamente infallibile per farti concludere la giornata in bellezza, ma che dico in bellezza, per farla diventare la giornata più fortunata della tua vita, c'è!

Ingredienti: fantasia e una buona dose di biochimica, il tutto condito con un po' di pura follia.

Facciamo che la tua perfetta giornata a schifio sta volgendo al termine e tu stai camminando su un marciapiede lottando contro l'impetuoso desiderio di buttarti dentro quel cassonetto dell'umido che vedi avvicinarsi a ogni passo perché reciclarti sotto forma di fertilizzante per piante ti sembra l'unica degna conclusione plausibile, quando a un certo punto... ... ... ...
Un'auto sbanda e in una frazione di secondo ti è addosso.
Ma tu in mezza frazione di secondo riesci ad evitarla facendo un doppio salto carpiato con avvitamento in senso antiorario atterrando di fianco al cassonetto dell'umido, anch'esso salvo per un pelo. Tastandoti per controllare di essere tutto intero e guardando alle tue spalle questa tragedia sfiorata, ecco che la giornata prende una piega completamente diversa e verrà raccontata ai posteri come la più fortunata giornata di tutta la tua vita.
E qui entra in gioco la biochimica.
Eh sì, perché sperare che un evento catastrofico ti sfiori ogni volta che ti capita una giornata sfigata è poco realistico, ma elaborare un pensiero, immaginare che accada, è decisamente possibile e assai meno pericoloso.
Il bello è che per il tuo cervello non fa differenza.
Il tuo cervello (la parte meccanica della struttura bio-neurologica dell'essere umano), lavora per immagini mentali e quando si crea un'immagine nel tuo cervello, lui immediatamente comunica al sistema nervoso di trasmettere al resto del corpo le sensazioni che quell'immagine dovrebbe suscitare al tuo organismo.
Ma non è in grado di distinguere se un'immagine è inventata oppure è reale perché le immagini, altro non sono che pensieri e i pensieri possono essere il risultato di un movimeto neuronale (ossia semplice chimica cerebrale), o possono essere indotti dalla mente, altresì chiamata anima o coscienza che, altro non è che la parte psicologica della struttura bio-neurologica dell'essere umano.

Piccolo esempio chiarificatore: è quasi ora di pranzo, chiudi gli occhi e immagini davanti a te il tuo piatto preferito. Il tuo cervello mica si accorge che quell'immagine non è reale e allora che fa? Comincia a preparare il fisico al lauto pasto e così ti ritrovi con l'acquolina in bocca e lo stomaco al massimo dei giri (e mi son limitata a questo casto esempio perché, se ci pensi, ce ne sono un paio decisamente di più immediata comprensione, ma io sono una signora e non oserei mai...).

Ora hai a disposizione tutte le catastrofi sfiorate che vuoi, da evocare quando vuoi, come vuoi, con chi vuoi.
La mia giornata di oggi?
Una figata, ho salvato la vita a centinaia di pendolari ignari evitando rocambolescamente che un tizio malvagio facesse deragliare il treno su cui stavamo, poi ho attraversato la strada nell'unico momento in cui era possibile farlo perché se l'avessi fatto un attimo prima sarei morta e un attimo dopo pure e alla fine, tornata a casa, sono riuscita addirittura a fare una torta di carote guarnita con crema di burro zucchero e philadelphia!
Ps: una di queste tre cose è vera, ma non vi dirò mai quale...
Ps2: nel caso lo scopriste da soli, per favore, non ditelo al mio cervello.






mercoledì 2 luglio 2014

Di assenze (in)calcolabili, prese mollate, ritorni inaspettati e altre storie...

Un po' a queste domande ho già risposto QUI

Ma per dirne un altro po': forse c'è che alcuni son fortunati e riescono a liberarsi della zavorra interiore indigeribile anche solo parlando, altri ancora non hanno zavorra interiore perché se la perdono per strada senza trattenerla, oppure la stoccano all'interno delle guance, tipo i criceti, almeno fintanto che riescono a passare dalle porte.
Io faccio parte di quelli che, o la scrivono da qualche parte, o col cavolo che se ne liberano.
Perciò, dopo un tot che manco da questa dimensione indiscutibilmente congeniale a chi scrive per respirare meglio, comincio ad annaspare, a sentirmi pesante e torno.

Ma allora perché me ne sono andata?
Perché ci sono regole in ogni cosa, clichè, codici non scritti e etiche alle quali ti ritrovi a dover sottostare senza nemmeno essertene reso conto.
Un bel giorno scopri che anche il blog è diventato parte della zavorra di cui cercavi di liberarti attraverso il blog e cominci a sentirti un gatto che si morde la coda e ad annaspare più di prima.
Quasi all'improvviso realizzi che ciò che era uno sfogo e un piacere è diventato anch'esso fonte di aspettative immani ed è sconfinato paurosamente nella corsia dei "doveri", lasciando Guybrush Threepwood a zampettare da solo in cerca di un pollo di gomma nella corsia dei piaceri.
Ed è così che si abbandona la nave, si stacca la spina, ci si dà alla macchia, insomma, si molla la presa (o almeno è così che ho fatto io).
Ognuno è un mondo a sè, ognuno ha le sue ansie. Ciò che per qualcuno è un peso, per qualcun altro è assuefazione, ciò che per quel qualcuno è terminabile, per quell'altro è trasformabile...
La conclusione dell'argomento suppongo sia di far le cose che ci sentiamo di fare nel momento in cui ci sentiamo di farle.
Per me era decisamente il momento di tornare.



IMPERITURA TARGA COMMEMORATIVA



venerdì 6 giugno 2014

A te, che t'incontro per strada ogni due anni o giù di lì...

Scrissi già di te a suo tempo, perché m'è bastata quella prima volta per rimanere senza fiato davanti ai tuoi occhi colordellagosucuisononata e ieri ti ho rivisto. Saranno trascorsi due anni, forse tre. Più tre che due. Sia chiaro, ho un ottimo rapporto con il tempo perché lui passa e io me lo lascio scorrere addosso quasi fosse una carezza. Ma abbiamo fatto un patto: lui non lascia traccia e io fingo di non averlo visto passare. Perciò non tengo memoria della mole di tempo che mi è passato sopra, intorno e dentro.
Anche i tuoi occhi mi sono passati sopra, intorno e dentro, ma di loro ho memoria.
Come duetre anni fa, anche ieri eravate tu, i tuoi occhi, la tua chitarra e l'autobus. Ho sorriso un sacco perché ti avevo a un soffio e ho pensato che chissà quando mi sarebbe ricapitato, poi ho pensato di chiederti almeno il nome, ma non l'ho fatto e non so perchè. Sicuramente non per timidezza. Forse per precauzione.
Quando hai starnutito ho pensato di darti un fazzoletto, ma ce l'avevi già. Quando ti sei alzato per lasciare il posto a quella ragazza incinta ho pensato che lo sapevo già che saresti stato l'unico in tutto l'autobus a farlo e ti ho sorriso (di nuovo).
Poi mi son detta che, diamine, potevo lasciarti andar via di nuovo senza uno straccio di prova della tua esistenza? In questi duetre anni mi son chiesta se non ti avessi solo immaginato.
E allora ho preso il telefono e ti ho fotografato.


domenica 25 maggio 2014

Sogn'o son desta?


Ecco il cielo in cui vorrei perdermi se scegliessi di perdermi ora, nella bolla di sapone in cui mi ritrovo. Per la prima volta dopo secoli rimetto le mani sulla tastiera a occhi chiusi (o quasi) e scrivo senza pensare a cosa, perché alla fine ci si illude di scrivere con la testa, ma sono i muscoli i propulsori dei nostri pensieri che escono fuori dalle nostre dita ancor prima di arrivare al cuore. Ed è a quel punto che ci capita di rileggere ciò che abbiamo scritto come se fosse la prima volta, quasi come se avessimo voluto scrivere una lettera a noi stessi. Il noi stessi di dentro, quello affondato nell'io profondo e buio che scrive all'io di superficie solo per ricordargli che esiste. E tu eri riuscito a far arrivare le tue parole (nonsoneancheiocome) giù fino in fondo, al centro dell'io profondo e buio di dentro, che non si aspettava visite e che s'è pure un po' stranito di sentirsi bussare alla porta (supponendo che lui abbia una porta e che tu abbia bussato).

Ora resta solo il ricordo che talvolta si trasmuta in sogno e finalmente diventa sollievo.


mercoledì 21 maggio 2014

Domande e risposte

DOMANDE

  1. Perché sono tornata?

  2. Per chi sono tornata?

  3. Quanto resterò questa volta?


RISPOSTE

  1. Sinceramente? Per tornare a poter essere inopportuna senza destabilizzare nessuno. La sincerità assoluta, nella vita di tutti i giorni, non è permessa. (Se son tornata è anche un po' perché non mi riesce di accumulare all'infinito senza mai aprire la valvola di sfogo e questo blog sarà incostante e volubile, ma sono più che certa che servirà egregiamente al suo scopo). 

  2. Per te che mi stai leggendo. So che pensi non mi stia riferendo a te, e invece ti sbagli. Ce l'ho proprio con te. Forse, sapere che ci sei tu, è il mio modo di sentirmi meno sola.  

  3. Nè un minuto di più, né un minuto di meno. C'è un tempo giusto per ogni cosa, non solo inteso come "momento" giusto, ma anche come dilatazione del momento stesso. Vince chi fugge a un soffio dal punto di rottura. Come per le bolle di sapone: arriva un momento in cui bisogna smettere di soffiare e lasciarle libere di andare un po' dove gli pare.



And it’s your face I’m looking for on every street

 

 

 

Passeggiami l'anima in punta di piedi e poi appoggia distrattamente il tuo sguardo dove io lo possa trovare quando te ne sarai andato.

martedì 20 maggio 2014

Passeggiando per la blogosfera...

Mi fa strano.
Manco da parecchio e di fatto il panorama è cambiato molto. Quasi tutto. Qualche punto di riferimento è rimasto, ma il più è scomparso, come sono scomparsa io.
Erano come minimo 3 anni che non rimettevo piede in questo mondo di pixel e false identità (più sincere di quelle vere).
Siccome non riconoscevo più le strade, le facce, le voci, ho vagato un po' per quartieri lontani in cui non ero mai stata, perché se sei in un posto che non conosci non ti puoi mica perdere: tutt'al più esplori.
Gira di qua, gira di là, incappo in questa frase: “Molto spesso una crisi è tutt’altro che folle, è un eccesso di lucidità” e penso che porca miseria sì, le volte in cui uno sta bene, tanto bene, é perché non è lucido. Allora leggo anche dell'altro e penso che, se continuo a leggere, finisce che mi prendo una cotta per sto tipo che scrive.
Ma penso anche che, poverino, (il tipo che scrive), se mi prendo una cotta per lui vuol dire che non dev'essere tutto centrato.

lunedì 19 maggio 2014

Etciú homo....

....Salute, dirai tu.
Macché, ti dirò io.
Perché l'altro motivo che mi ha portato ad aprire questo blog è che talvolta mi è capitato di trovare chi mi facesse sentire in compagnia anche dentro e non solo fuori, ma mai che si trattasse di persona sana. Prima fra tutte mia sorella Sigismonda (alcuni nomi sono stati cambiati per garantire la privacy dei diretti interessati (maddai?!?)).
Quando stavo con Sigismonda (se scoprisse che l'ho ribattezzata così mi sbranerebbe) mi sentivo seriamente in compagnia. Una stranissima, caotica e appiccicosa compagnia, ma profondamente reale. Lei ora è lontana. Parecchio lontana. E non torna.
Poi ho trovato Davide, mio cugino. Pure con lui mi sentivo in compagnia, come se anche dentro la mia testa, il mio stomaco, le mie vene ci fossero parole date e prese. Già allora era un precocissimo misantropo dai risvolti autistici a tratti geniali che sapeva farmi ridere di pancia e stupire sul serio. Ma ora anche lui è lontano. Meno di Sigismonda, ma pur sempre lontano.
Poi ho trovato Paolo. E vi dico solo che la pazzia gli faceva un baffo. A quattordici anni fabbricava detonatori per far esplodere goliardicamente vecchie automobili con gli amichetti e ora, venti anni dopo, come minimo, dovrebbe farsi dieci anni di carcere (sempre se lo prendono).
Per fortuna ho Giuliana, amica di penna che però mi telefona pure, e con la quale torno a respirare quando ci sentiamo perché, quando le parlo, sento che mi capisce per davvero e io, d'altra parte, so di capire lei.
Peccato sia rinchiusa in una comunità psichiatrica per persone con disordini alimentari da cinque anni.
Poi una sera, mentre giochicchiavo a briscola o a scopa in un multiplayer online, incontro un tipo che, vai a capire perché, percepisco subito essere parte dell'esigua categoria in grado di farmi compagnia per davvero. Chatta oggi, chatta domani, tra alti e bassi, tanta musica, tanti libri e altrettanti film, sono passati quasi due anni, non vorrei dire addirittura tre.  Mi ci affeziono così tanto che trovo assurdo continuare a mantenere questa profonda amicizia sul virtuale. Chiedo ad Antonio (il nome non l'ho cambiato perché francamente non sono nemmeno sicura che si chiami davvero così) di fare il gran salto: passare da Skype a Facebook, ma niente da fare. Lui è più misantropo del mio cugino misantropo che sta lontano. Addirittura si sconfina nella mania di persecuzione. Quale grave problema abbia per non aver potuto nemmeno darmi il suo numero di cellulare o una sua mail, non l'ho mai capito. Sono arrivata al punto, per smuoverlo, di dargli un ultimatum: o facciamo il grande salto, o esco dalla tua vita per sempre.
Ed eccomi qui, da poco uscita dalla sua vita per sempre. E io le promesse le mantengo, costi quel che costi. 
Quindi eccomi di nuovo sola a scrivere a te che sei lì da qualche parte (lo so che ci sei) e che forse un giorno ti riconoscerai nelle mie parole, mi cercherai e mi farai smettere di essere sola.
Forse.
Un giorno...

sabato 17 maggio 2014

Che son sola non si nota...

...Certe volte non lo noto neppure io dal fracasso che c'ho intorno e addosso. Eppure sono sola. Più sola di un paguro alla ricerca di un guscio nuovo (perché quell'altro vatti a ricordare dov'è parcheggiato).
Le volte in cui non mi sono sentita sola sono state poche, ma memorabili.
E tu che stai leggendo, non mi venire a dire che non ti ci sei mai sentito solo, perché non ti credo.
Certo, non ti sarà mai venuto in mente di aprire un blog sulla solitudine (forse), ma di fatto non era mai venuto in mente neanche a me.
Fino a oggi a mezzogiorno.
Ero in stazione, stavo per prendere un treno (a proposito, hai mai notato che basta spostare una lettera per passare da "preso" a "perso"? Coi treni, una svista grammaticale e sei fregato). Stavo dicendo? Ah sì: stazione, quasi sul treno ed ecco il pensiero di costruirci un blog con la solitudine affollata in cui mi trovo. La verità è che c'è anche una ragione più assurda che mi ha fatto venire in mente sta cosa del blog, ma te ne parlo in un altro post che questo è più che altro per vedere se sono ancora capace di scrivere...
Ora stacco perché s' ha da mischiarmi nuovamente in quel mondo là fuori, ma poi torno.
Stay tuned