venerdì 29 agosto 2014

Il presente presente e la fatica del prima e del poi

Mi dici che ci son discipline fatte apposta per insegnare a vivere nel presente, non perdendosi nel passato mentre si sta progettando un ipotetico futuro.
Ti dico che per me non ha senso perché in una bolla di sapone c'è spazio solo per il presente.
Io mi sforzo tremendamente di ricordare il "fu" per non ripetere gli stessi errori e mi sforzo ancor di più di pensare al "poi" per porre le basi in vista di qualcosa. E questo perché vivo l'adesso e con "adesso" intendo proprio l'ora e il qui.
Per esempio, credi che abbia già pensato a dove voglio arrivare con tutto questo che sto scrivendo?
Macché... Intanto scrivo e da qualche parte arriverò.
E non voglio dire che io non programmi le cose.
Devo farlo e mi ci impegno anche parecchio. Se non lo facessi sarei sempre allo stesso identico punto di sempre. Come se uno camminasse tantissimo e fortissimo, ma su un tapis roulant. Perché il presente è continuamente presente. È il passo mentre lo stai facendo, la palpebra che si chiude mentre la stai chiudendo e si apre mentre la stai aprendo...
Alla faccia di chi dice che non esiste l'attimo presente perché nell'istante in cui lo pensi è già passato.
È sbagliato il soggetto.
Non è l'attimo a essere nel presente, sei tu. Sono io. Siamo nel presente senza scampo di essere altrove. Non puoi evitarlo nemmeno volendo.
Come caspita si fa a vivere più facilmente nel passato o ad avere la testa nel futuro? Per me è inconcepibile.
Sono carne, sangue, ossa, voce e pensieri, tutta intera nel presente.
Del capello caduto devo dire che non me ne può fregare di meno.
E del capello che cadrà non ne parliamo.
Il capello caduto che mi sta solleticando tra la maglietta e la pelle, ecco, quello sì che mi urta.
Se dovessi lasciar scorrere me stessa spontaneamente, senza dighe o deviazioni (cosa che talvolta non riesco ad evitare), mi ritroverei a chiudere la porta di casa dopo una giornata di lavoro dimenticandomi fuori tutto quello che è successo prima o che deve succedere dopo. Nomi, cose, città, persone, tutto, talvolta anche me stessa.
Che quando poi è capitato sul serio è stato un bel casino.
M'aveva detto: "Fammi uno squillino quando arrivi a casa" e io, "certo!!" (perché era l'una di notte, io tornavo a casa da sola su un bus pieno di albanesi ingrugniti e portoricani alticci, ci stava che si preoccupasse insomma).
Bè, io chiudo la porta arrivata a casa e via, quel che è dentro è dentro (cioè io), quel che è fuori è fuori (cioè tutto il resto, buoni propositi compresi). I cellulari fanno parte di quelle cose che fisicamente porto dentro, ma che poi, virtualmente rimangono fuori perché tanto c'hanno la batteria perennemente scarica.
È finita alle due di notte con una persona in pigiama davanti al mio portone che suonava disperatamente il campanello credendo di dover andare alla polizia a denunciare la mia scomparsa.
Forse è una forma di egoismo.
Anzi, sicuramente è egoismo.
Che questa tendenza, per quanto tremendamente liberatoria, non sia nè saggia nè naturale lo capisco da me e infatti cerco di combatterla, ma quello che non capisco è: se io, che sono già così, mi impegno con tutte le mie forze per esserlo il meno possibile, come diamine fai tu a passare la vita a insegnare ad altri a esserlo.
E se poi diventano come me?!?
Te lo immagini un mondo di gente che fa quello che sente nell'attimo in cui lo sente e come lo sente perché ormai ha preso a scorrere in quella direzione?
Che poi, ci son cose che faccio quando le sento e come le sento senza far danni, è vero, tipo buttar giù bigliettini dalla finestra alle due di notte per parlare di cinema con gli ultimi ragazzi della movida, rimasti a bere nel vicolo (io li vedo che alla fine se li conservano come un regalo inaspettato piovuto dal cielo i miei bigliettini, disabituati come sono ai messaggi scritti a mano...), ma ci son cose che invece qualche danno lo fanno perché, per antonomasia, una cosa fatta adesso per l'adesso, non può tener conto degli effetti che causerà sul poi. E allora magari, sull'onda della gelosia bambina dell'altro giorno, si finisce per vedere il tuo pc acceso mentre non ci sei, con un tuo pezzo lasciato a metà, nudo e indifeso... Allora è un attimo mettere una p al posto di una t, lì in fondo, giusto per vedere se te ne accorgi prima della pubblicazione...
Non te ne sei accorto :-)





giovedì 21 agosto 2014

Ognuno c'ha gli spammer che si merita...

Ubaldo Manocchio
Geltrude Montanaro
Godeberta Airoldi
Prospera Annibali
Sofronia Beccaria
Diocleziano Nadini
Imelda Avallone
Genoveffa Mansos
Democrito Bergamasco
Orlando Cristoferi
Annibale Giaco

E pare mi scrivano per segnalarmi la loro ragazza più calda che porta a scuola tutte le marche famose, le stagioni che vanno e vengono, l'orologio perfetto per soddisfare le vostre completo manager (sic) e, dulcis in fundo, il regalo meraviglioso per una persona amata.

10 e lode al pensatore anagrafico.


Dualità

Volume alto.
Quanto?
Tanto.
Perché così non si può, così non si fa. Così non è onesto.
È torcicollo.
L'immagine di te (di chi?) è perplessità e sconcerto (di-te?).

Dicono (dico-no) che è possibile ciò che non è probabile se talvolta è probabile anche l'impossibile. Ma l'inconcepibile?
È soggettivo.
E per me era inconcepibile, è inconfessabile, sarà intollerabile e tu non lo puoi nemmeno immaginare tanto quanto (voi non lo potete immaginare).

È guerriglia a cielo aperto e imboscata.
Sono fendenti dall'alto e dal basso, di spalle e di fronte, da vicino e da lontano, inaspettati come ghiaccio caldo sulla schiena.
Dove devo guardare? A chi sto parlando?

Vallo a capire.
Anni di niente e ora, è doppio tornado nello stesso sacchetto di patatine.
Non ne bastava uno. No.
Due.
E non ti montare la testa (no, non tu, l'altro. Tu te la sei già montata). Dev'essere il momento. Devo essere io che ho scordato la porta aperta e ora non so più dov'è. La porta.
È come chiedere l'elemosina una vita intera per poi morire travolti da un treno carico d'oro.
Ciò che non sei tu è lui, ciò che non è lui sei tu e di quello che scrivo ci capirete a metà perché, per poterlo comprendere tutto intero, dovreste fare ciò che sarebbe ora faceste una buona volta: fondervi in una sola entità. Non importa di chi il volto, di chi le mani, di chi i capelli. Mi bastano i tuoi silenzi sussurrati e le tue parole scritte, i tuoi sguardi persi e i tuoi stupori ritrovati, le tue spalle larghe e i tuoi anni in più, i tuoi movimenti perfetti e la tua voce di velluto nero (5 a 3 per te).

Tu, che lo so che ci sei rimasto peggio (carezza), dormi.
E tu veglia, sui miei vuoti, le mie gioie, i miei dolori e le mie insonnie fino a che lui non riapre gli occhi.

Brutta sensazione quella di essere due in così poco spazio vero?
A casa mia altro che due eravamo... Stavo stretta fra dieci, cento, forse mille donne che io ci provavo a cercarmi lì in mezzo (c'ho provato) e non mi trovavo mai da nessuna parte. Credo di averle perse così le emozioni.
O forse era solo volume basso.



lunedì 18 agosto 2014

Sogno...





Ho sognato che te ne volevi andare da qui e ho annaspato nel nulla fino a che non mi sono svegliata.

giovedì 14 agosto 2014

Ti sento per dritto, m'illudo al rovescio e t'osservo in obliquo

Com'è che sta cosa non mi passa, a occhi aperti non so spiegarmelo.
A occhi chiusi sì.
Ti sento forte, come un pugno alla bocca dello stomaco che più t'avvicini, più spingi sul diaframma e spezzi il fiato. Mi fai pelle d'oca a un metro di distanza, se poi mi ti siedi accanto come oggi, è vertigine e perdo l'equilibrio (per fortuna son già seduta e non si nota).

M'illudo di non desiderare ciò che desidero senza però mai immaginare l'oltre, perché ciò che immaginiamo prima o poi succede (lo sapevi?) e allora traccio confini ai sogni per farli arrivare solo dove è lecito (seppur non vantaggioso), ma è brivido ugualmente, esattamente come quando fingo di credere che certi grassetti con link tu li abbia sistemati lì perché ci potessi inciampare io.

E poi, ora che ti sei spostato, mi basta sbirciare dietro la mia spalla sinistra per vederti senza che tu mi veda e sono i miei occhi adesso a torturarti la nuca come piuma silenziosa, respiro leggero, carezza promessa e mai mantenuta.

(Ohpporcaccialamiseriaccia è appena successo... ... ... ... Mi stavo alzando per andare in bagno quando ho visto che non eri al tuo posto e allora non ce la posso fare. Se so che sei di là, io devo restare enantiosemicamente di qua. Poi sei tornato di qua e io sono andata di là e mentre mi lavavo le mani pensavo solo a quanto avrei voluto girarmi e trovarti lì, ma era impossibile perché c'eri appena stato e poi, mi tocca dirlo, a me non capitano mai le cose mentre le sto desiderando (perché non lo so ma è così, mi capitano quando ormai ho smesso di desiderarle e capisci bene che non è la stessa cosa)... E invece ho desiderato fortissimamente a occhi chiusi che fossi lì, mi sono girata e c'eri per davvero).






mercoledì 13 agosto 2014

Ingorgo

Gli eventi scorrono.
Si distribuiscono in ordine sparso lungo il tempo che stiamo vivendo e tra l'uno e l'altro si accumulano le consuetudini, la noia, le abitudini (la polvere): beremangiaredormiresognare(nonsempre)svegliarsiandarealavorare(sempre)ribererimangiareritornareacasa... Da capo.
Poi, vai a capire perché, ogni tanto ci si ingolfa e gli eventi pure si incolonnano uno dietro l'altro nell'attesa che la personalissima tangenziale che attraversa nel mezzo il tempo e lo spazio che ci appartengono sia riaperta.
Io non mi ero nemmeno accorta del tutto che la mia si fosse chiusa. Oddio, sì, vabbè, erano due o tre anni che le cose filavano con una certa regolarità. Più tre che due.
Encefalogramma emozionale tendente al piatto con pochi, insignificanti picchi di euforia passeggera.
Sono i periodi in cui i cerotti restano nell'armadio, per intenderci. Non ci si taglia nemmeno un dito mentre si pelano le patate. Si piange zero. Si ride il giusto.
Alcuni ci metterebbero la firma per vivere senza scossoni e io, effettivamente, mentirei se dicessi che mi sono lamentata, anzi, mi sono crogiuolata nella pacifica serenità azzurrina che una tangenziale quasi completamente sgombra ti concede. Ci puoi giocare a pallone in mezzo, per esempio. Ti ci puoi sdraiare per guardare il cielo, che tanto sai che non c'è pericolo e se ti ci vuoi apparecchiare un pic nic proprio al centro, perché no? Chi vuoi che passi?
Poi un giorno ti svegli e scopri che si è riaperta la strada. E chi diamine l'ha riaperta?!
Tu sei immobile e senti lo spostamento d'aria degli eventi che stanno per arrivarti addosso tutti insieme, tutti in una volta e tutti a velocità sostenuta per recuperare il tempo perduto.
Li percepisci che ti bucano lo stomaco da parte a parte, via uno l'altro senza lasciarti il tempo di riprender fiato che subito ecco il prossimo.
Un viavai dodecafonico di tracce che ti frastuonano dentro e fuori, che sibilano come proiettili di emozioni senza redini a ricordarti che che sei indiscutibilmente e irrinunciabilmente vivo.



martedì 12 agosto 2014

More than ferie...



Cosa credi che non lo sappia che leggi?
Lo so che leggi. Se no cosa scriverei a fare?
Lavoro ce n'è poco, agosto avvolge l'ufficio come una bella copertona calda e appiccicaticcia. Tu sei sempre lì dietro e io, in barba a tutti quelli che si stanno facendo le ferie convinti di essere invidiati, dico: non da me.
Non scambierei questo agosto in ufficio con nessuna feria al mondo.
C'è pace, c'è il caffé al ginseng, ci sei tu che mi aspetti per salire le scale dopo il caffé. Cosa credi che non lo sappia che mi aspetti per salire le scale?
Lo so che mi aspetti. Se no cosa le salirei a fare?

lunedì 11 agosto 2014

Pensando a chi ti pensa senza sapere che tu sai che ti stanno pensando



 Perché tu, quella volta là, mi hai detto: strano sapere di essere nei pensieri di qualcuno.
Come se capitasse di rado questa cosa di esser pensati a nostra insaputa.
Ma no...
Per uno (te) che sa di essere nei miei pensieri, ci sono un bel po' di persone che non hanno mai saputo di esserci, ma che ricordo distintamente a distanza di anni.
Mi si sono appiccicate lì.

Come quel ragazzo giapponese che ho visto dal finestrino del mio treno in partenza a Porta Nuova tanti anni fa. Se ne stava seduto sulla panchina di marmo del binario 19, appoggiato al suo grande zaino e mi ha guardato mezzo secondo con gli occhi più a mandorla che avessi mai visto fino ad allora.
Oppure Jonathan. Ci giocai in un parco a Loano quando avrò avuto sì e no 6 anni. Ci divertimmo, poi la mamma lo chiamò (Jonathan) e lui mi salutò.
Mai più visto. Eppure mi è capitato addirittura di sognarlo una volta e ora sto parlando di lui e mi sto chiedendo se ci sia ancora da qualche parte, a distanza di quasi trent'anni.
Poi c'è la bambina del supermercato. Non c'ho manco parlato. Sarà stata un po' più piccola di me, forse dieci anni. Mi son scoperta a guardarla perché era di un bello particolare e lei invece l'ha presa un po' strana e da lontano m'ha fatto "Où" con la mano e io mi son messa a ridere perché non poteva capire che la guardavo per il bello che emanava e ho pensato che c'aveva ragione a farmi "Où". Ho smesso di guardarla, ma non di ricordarla.
Poi a Savona, nel 2001, ho visto l'attacchino di colore che attaccava un enorme manifesto proprio ai bordi di un ponte, talmente in bilico sulla scala che sarebbe bastato poco poco per farlo finire nel fiume giù di sotto. Non l'ho nemmeno visto in faccia, era di schiena e aveva un maglione rosso. Me lo ricordo come se l'avessi fotografato. Avessi avuto una macchina fotografica, ho pensato poi, sarebbe stato da fotografare sul serio.
Così, da quando sono arrivati i telefonini che fan le foto, se mi accorgo di sentire quel click interiore di una foto appena scattata nella testa, provo a scattarla per davvero (senza farmi sgamare).
Come il signore buono dello scompartimento sul treno Torino - Genova nel 2009.
Il mio era un viaggio senza ritorno, stavo così così e quindi non parlavo con nessuno. Lui era seduto di fronte a me, grande e grosso, con una pancia planetaria e un muso rincagnito che non trasmetteva proprio una frizzante gioia di vivere. Ma poi, strada facendo, ho scoperto che era buono, di un buono oltre il limite della bontà. Paziente e buono (viaggiava con la moglie). L'ho fotografato di sottecchi perché me lo volevo ricordare, lui e la sensazione di fiducia nella bontà umana che mi ha trasmesso nel giro di poche ore.
Potrei andare avanti tutta la notte a parlare di tutte quelle persone che ricordo e che suppongo non sappiano niente di me, ma è tardi e mi fermo qui. Tutto questo per dire due cose.
A te, che sicuramente, non sei solo nei miei pensieri, ma sarai nei pensieri di tantissime altre persone (tanto più che non puoi passare inosservato).
A me, che magari, da qualche parte del giappone, in questo preciso istante, c'è un uomo con gli occhi a mandorla che si ricorda di una tizia spettinata dietro il finestrino di un treno che l'ha fissato per mezzo secondo.

sabato 2 agosto 2014

Gli uomini non capiscono le donne, ma non so se sanno che spesso neanche le donne si capiscono da sole


Lei guarda lui (Mamma mia che figo quel tipo lì...).
 
Lui si accorge che lei guarda lui e allora ammicca con l'occhietto da triglia.
 
Lei nota l'ammiccamento (Wè, ma che ce l’aveva con me? Come si permette?Son mica una di quelle io...), sguardo truce, braccia conserte.

Lui nota che lei ha notato l'ammiccamento e s'è un po' risentita e pensa che forse, allora, non è che prima guardasse lui, magari guardava quello là dietro, così si adegua.

Lei nota che lui guarda oltre (Ah no, mi sa di no, guarda dietro, forse ha salutato un amico…).

Segue il di lei sguardo pentito, cincischiamento di braccia e sbattimento di ciglia simil fidanzata di Bambi (Che poi alla fine, a voler essere proprio sincera sincera, non mi sarebbe dispiaciuto se avesse guardato proprio me, è davvero un figo…).

Pausa… … …

Lui si accorge del cincischiamento e dell'evidente defiance in cui è capitolata lei e torna all'attacco.

Lei nota che lui è tornato all'attacco (Eh no, aspetta, guarda proprio me! Mi sta proprio fissando! E insiste!!!!).

Lui nota il fremito e interpretandolo come un incoraggiamento lancia un altro ammiccamento titubante, forse un po' confuso, ma pur sempre piacione.

Lei a questo punto non può più dubitare in alcun modo che l'ammiccamento fosse rivolto altrove (Anvedi questo burino cafone troglodita…).

Urlo: “VUOI UN POSTER O TI BASTA L'AUTOGRAFO?”.

Lui: “Stronza!”.